LA PSICANALISI SECONDO
SCIACCHITANO

"TU PUOI SAPERE DA TESTIMONIANZE INATTENDIBILI"

creata il 16 novembre aggiornata il 14 dicembre 2010

 

 

S

Vieni da "Causa freudiana"

Mihi a docto doctore
domandatur causam et rationem quare
opium facit dormire?
A quoi respondeo,
quia est in eo,
virtus dormitiva,
cujus est natura
sensus assopire.

Molière, Le malade imaginaire, Troisième intermède (1673).

Sei in

“Effetto come testimone inattendibile della causa”

Nel saggio sulle probabilità (1814) Laplace afferma:

“Come regola generale si ha che la probabilità che un evento semplice, nelle stesse circostanze, si verifichi di seguito un dato numero di volte, è uguale alla probabilità dell’evento semplice, elevata a una potenza indicata da quel numero. Così, poiché le potenze successive di una frazione inferiore all’unità diminuiscono continuamente, un evento che dipende da una successione di probabilità molto grandi può diventare estremamente poco verosimile. Supponiamo che un fatto ci sia trasmesso da venti testimoni, in modo che il primo ne abbia dato notizia al secondo, il secondo al terzo, e così via; anche se supponiamo che la probabilità di ogni testi­monianza sia uguale a 9/10, quella del fatto, risultante dalle testimonianze, sarà inferiore a 1/8. Questa diminuzione della probabilità può essere efficacemente paragonata alla dimi­nuzione della chiarezza degli oggetti per l’interposizione di più lastre di vetro: è sufficiente un limitato numero di lastre a impedire la vista di un oggetto che una sola lastra lascia vedere distintamente. Gli storici non sembrano aver fatto sufficientemente attenzione alla degradazione della probabi­lità dei fatti, quando sono visti attraverso un gran numero di generazioni successive; parecchi eventi storici, ritenuti certi, risulterebbero per lo meno dubbi, se li si sottomettesse a questa prova.”

Un esempio tratto dalla clinica psicanalitica spiega la cosa teorica agli psicanalisti che resistono alla scienza.
Le associazioni libere testimoniano il complesso edipico latente. In una seduta – non breve! – se ne registrano, diciamo, 4. Supponiamo che siano indipendenti, cioè che non siano ripetizioni o riproduzioni l’una dell’altra. Supponiamo anche che siano abbastanza attendibili, cioè che sia 0.9 la probabilità che l’Edipo sia effettivamente ciò di cui un’associazione libera testimonia, in quanto effetto della causa edipica. L’attendibilità totale alla fine della seduta, dopo l’ultima associazione, è che in quel caso l’Edipo ha una probabilità di essere vero di 0.9 x 0.9 x 0.9 x 0.9 = 0.6561.
È tanto o poco? Occorre un termine di paragone ragionevolmente sicuro per poter fare il confronto. In via preliminare, tuttavia, prima di passare a una possibile valutazione quantitativa del risultato (ce ne potrebbero essere tante!), vale la pena di premettere una considerazione qualitativa.

L’Edipo è una congettura. È la tipica congettura freudiana, valida per il singolo soggetto Freud, che i freudiani ereditano dal maestro e trasformano in schematismo interpretativo universale. (La formazione psicanalitica consiste nel conformarsi a tale schematismo). Come tutte le congetture, anche l’edipo non si può confermare, ma solo confutare. I tentativi reiterati di confermare una congettura portano al risultato di indebolirne la credibilità. La congettura edipica non fa eccezione. (Perciò Lacan aveva scoperto il trucco delle sedute brevi. Siccome una testimonianza edipica è attendibile al 90% e due all’81%, è meglio fermarsi prima e licenziare il paziente alla prima ricorrenza del significante edipico.) Ogni congettura è tessuta di un materiale inconsistente: quanto più strettamente la si vuole afferrare, tanto più sfugge. Ma di questo i freudiani ortodossi sembrano curarsene poco. Per loro, infatti, l’edipo non è una congettura, ma un dogma. In quanto tale è per principio incontrovertibile e non ha bisogno di essere corroborato dall’esperienza. In fondo, per l’ortodosso l’esperienza non esiste, se è vero che il dogma si conferma sempre e non si confuta mai. Il sospetto è che il ricorso all’esperienza clinica, al cosiddetto caso clinico, tante volte e ad alta voce “gridato” dagli ortodossi, sia essenzialmente vuoto.

Come schema di riferimento per la valutazione quantitativa del dato clinico edipico ti propongo di considerare il gioco delle coincidenze. Hai 13 carte di picche in mano – una mano da grande slam. Le mescoli e le ordini in fila ma coperte, così come viene: la prima che ti viene al primo posto, la seconda al secondo, … e la tredicesima al tredicesimo. Poi le scopri nell’ordine che vuoi. Qual è la probabilità di scoprire almeno una coincidenza tra carta e posto, cioè di scoprire l’asso al primo posto, OPPURE il due al secondo, OPPURE il tre al terzo, … , OPPURE la Q al dodicesimo, OPPURE il K al tredicesimo? Non è difficile dimostrare che tale probabilità tende rapidamente a un limite costante, indipendente dal numero di carte in gioco. Diciamo che con 10 o più carte la probabilità di almeno una coincidenza è dell’ordine di (1–1/e), cioè circa 0.6321. Che differisce del 2% dal risultato clinico.
Ciò dimostra quanto sia difficile sostenere che il risultato clinico NON sia casuale.
Altro che causale!

Un piccolo paradosso per gli storici della scienza. L’argomento indeterministico sopra riportato è frutto della mente di Laplace, comunemente considerato il fondatore del determinismo rigoroso della scienza ottocentesca. È ben nota la sua affermazione tratta dal citato Essai philosophique sur les probabilités:

“Dobbiamo dunque considerare lo stato presente dell’universo come l’effetto del suo stato anteriore e come la causa del suo stato futuro. Un’Intelligenza che, per un dato istante, conoscesse tutte le forze da cui è animata la natura e la situazione rispettiva degli esseri che la compongono, se per di più fosse abbastanza profonda per sottomettere questi dati all’analisi, abbraccerebbe nella stessa formula i movi­menti dei più grandi corpi dell’universo e dell’atomo più leggero: nulla sarebbe incerto per essa e l’avvenire, come il passato, sarebbe presente ai suoi occhi.”.

Tuttavia, di fronte a questa tanto vantata dichiarazione di fede deterministica, mi viene un dubbio. È il dubbio che mi deriva dal sapere che Laplace conosceva bene la formula bayesiana delle probabilità inverse, che dà la probabilità delle cause, dati gli effetti, note le probabilità degli effetti date le cause. Forse che la casacca iperdeterminista sia stata imposta a Laplace dal successivo positivismo di Comte e C.?
Lo affermo perché Laplace è ben consapevole degli effetti dell’ignoranza umana in rapporto al regime eziologico:

“Tutti gli avvenimenti, anche quelli che per la loro piccolezza sembrano non ubbidire alle grandi leggi della natura, ne sono una conseguenza necessaria come lo sono le rivolu­zioni del Sole. Ignorando i legami che li uniscono al sistema intero dell’universo, li si è fatti dipendere dalle cause finali o dal caso, a seconda che si manifestassero e si succedessero con regolarità o senza ordine apparente; ma queste cause immaginarie sono state successivamente arretrate sino ai limiti delle nostre conoscenze e spariscono del tutto davanti alla sana filosofia la quale non vede in esse che l’espressione dell’ignoranza in cui ci troviamo circa le vere cause.”

In realtà, data l’ignoranza delle cause, il determinismo prescientifico sopravvive in epoca scientifica come superstizione. Si tratta di una superstizione collettiva, avallata e fomentata dal potere e dal potente data in appalto ai due maggiori discorsi servili, ben lontani dalla scienza: la medicina e il diritto. Sono loro che stabiliscono le certezze del vivere civile: la salute dalla parte del corpo, la libertà dalla parte dello spirito, sintetizzati nella convivenza regolata dallo Stato di diritto, che è la superstizione massima di cui oggi in occidente godiamo.
In proposito, vale la pena citare l’incipit delle Memorie del sottosuolo di Dostojevski nella bella traduzione di Tommaso Landolfi:

“Sono un malato… Sono un malvagio. Sono un uomo odioso. Credo d’aver male al fegato. Del resto non so un corno della mia malattia e non so con precisione dove ho male. Non mi curo e non mi sono mai curato, sebbene tenga in gran conto la medicina. Inoltre sono estremamente superstizioso, comunque abbastanza superstizioso da tenere in gran conto la medicina”.

Curiosamente, superstizione e determinismo ricorrono nel titolo dell’ultimo capitolo della Psicopatologia della vita quotidiana, dove Freud categoricamente, cioè da medico, nega l’esistenza del caso nella vita psichica. “Nulla esiste senza ragione”, sostengono Aristotele, Heidegger e Freud. A Freud, che forse resta l’unico che può intenderci, non resta che opporre la considerazione seguente. Il suo iperdeterminismo non è altro che una variante del secolare logocentrismo della cultura occidentale, gettonato sia dalla metafisica sia dalla teologia e praticamente incarnato dalla medicina e dal diritto. Nel mio diario (1 gennaio 2009) leggo:

“Il determinismo, originariamente in formato oracolare o astrologico – e di questi tempi ricorrente –, è stato da sempre l’ingenuo e maldestro tentativo di conciliare l’essere con il sapere attraverso la legge del destino. Il risultato si chiama logocentrismo e inquina perfino il discorso scientifico con le pretese della ragion sufficiente. (Allora il modello di scienza diventa la medicina). La formula generale del logocentrismo è, infatti:

se qualcosa è, allora è necessariamente.

Trasposto dal piano ontologico a quello logico il principio suona in modo oracolare:

se qualcosa è vero, allora è necessariamente vero.

Il modello del logocentrismo è il rapporto con la morte. Se dico:

"Tutti gli uomini sono mortali",

sentenza in cui la logica tradizionale codifica l'enunciato universale positivo, quell'enunciato diventa per il logocentrismo:

"è necessariamente vero che l'uomo sia mortale".

Freud, che pure è un ferreo determinista, ironizza sulle certezze funeree di questo logocentrismo nel saggio del 1919 su L'inquietante:

"La nostra biologia non è ancora riuscita a decidere se la morte sia il destino necessario di ogni essere vivente o solo una regolarità, un caso magari evitabile della vita. L’enunciato: “Tutti gli uomini devono morire” fa sfoggio di sé nei manuali di logica come modello di affermazione universale, ma non è evidente per nessuno. Oggi come ieri il nostro inconscio concede poco spazio alla rappresentazione della propria mortalità". (S. Freud, "Das Unheimliche", in Sigmund Freud Gesammelte Werke, vol. XII, Fischer. Frankfurt a.M. 1999, p. 255).

Il risultato netto del logocentrismo, decisamente favorevole al potere costituito, è che non esistono più né libertà, sul piano soggettivo, né contingenza, sul piano oggettivo. Tutto ciò che è e tutto ciò che si deve sapere è determinato dal codice del potere. Insomma, la vera fuorclusione del soggetto non è realizzata dalla scienza, come sostengono i lacaniani, ma dal loro logocentrismo.”

In conclusione e uscendo dalla polemica enunciamo il paradosso:

“Il determinismo vale tanto più quanto meno è probabile”.

Controprova. Se la probabilità del determinismo cresce al di là del livello infinitesimale, ecco pronto a scattare il sintomo soggettivo: l’ipocondria è quello più diffuso. Alla fine tutte le “cause”, anche quelle più ideali o ideologiche, scaricano i loro effetti sul corpo. Data l'equivalenza corpo/psiche ciò equivale a dire che il sintomo nevrotico ha una funzione epistemologica importante anche dal punto di vista dell'integrazione sociale del soggetto: trasforma tutta la causalità in causalità psichica, cioè in superstizione.

*

Per passare a un discorso positivo, propongo di andare alla fonte del discorso eziologico in medicina. Apro il capolavoro di Giovan Battista Morgagni, il principe degli anatomici, che Google mi mette a disposizione, e leggo:

Si plura cadavera, post eundem videlicet morbum denatorum, esaminata, inter se comparentur, et quod praeter naturam in omnibus similiter fuerit, id pro causa morbi; quod autem in aliis aliter; id vero pro morbi effectu habeatur.

(J.B. Morgagni, Viro illustri Jacobo Trew. Medico et Anatomico celeberrimo, D. Patavii, Kal sept 1760, in De sedibus et causis morborum per anatomen indagatis, Libro I, Epistola 63).

A quel tempo David Hume aveva già smontato il latinorum del principio di ragion sufficiente, dimostrando che è pura convenzione. Convenzione utile, certo, ma convezione. Nel seguito della frase citata Morgagni si dilunga sull'utilità di conoscere la correlazione tra sintomi e cause morbose, in quanto tale conoscenza può impedire o ritardare la morte del paziente.

Che dire?

Dico che nei confronti della medicina, come variante del discorso del padrone – in combutta con il diritto – va tenuto un atteggiamento doppio, quasi ambivalente: di ammirazione e di ripulsa.

Ammirazione, perché il medico sa lavorare con l’ignoranza. Come dice Cabanis, noi medici usiamo dei farmaci perché servono e fanno bene, anche se non sappiamo come agiscono. E questo è perfettamente lecito. Il medico opera con l’ignoranza come il matematico, che non sa cosa sia un insieme, ma costruisce una meravigliosa teoria degli insiemi.

Ripulsa, perché attraverso il principio eziologico, il medico costruisce una scienza convenzionale, per non dire falsa. Se fosse falsa, sarebbe anche più rispettabile, perché sarebbe falsificabile, come ogni vera scienza. Ma è convenzionale e si regge solo sul principio di autorità, come ogni vera dottrina. L'autorità, poi, è subito pronta a sfruttare l'utilità del discorso medico, non in quanto è utile al malato, ma in quanto è utile alla conservazione del proprio potere. I filosofi parlano di biopolitica.

Conseguenze sulla psicanalisi?

In quanto convenzionale e poco scientifico, il discorso medico non va importato in psicanalisi. Fu questo l'errore di Freud – se proprio vogliamo cedere all'andazzo attuale del nostro tempo che perde tempo a spulciare gli errori dei grandi. Freud importò la medicina in psicanalisi, per venderla come cura. Con il risultato di snaturarne la scientificità.

E' questo forse il luogo adatto per una considerazione che giustifica la lunga durata delle analisi freudiane.

Perché le analisi durano tanto a lungo?

Perché una vera analisi non prende in considerazione un unico sviluppo diacronico, quello realmente avvenuto, come fa lo storico, ma, come fa lo scienziato, i diversi possibili sviluppi alternativi, con cui confrontare quello reale e trarre da tale confronto considerazioni sulla struttura della nevrosi. Allo psicanalista scientifico non interessa una sola diacronia – sul tipo dell'anamnesi medica – ma l'intero spazio di tutte le possibili diacronie, al fine di individuarvi eventuali simmetrie. Sono le simmetrie che interessano alla scienza in quanto elementi costitutivi dell'ipotesi meccanicistica cartesiana. (Vedi la pagina sul meccanicismo, inteso come portato di simmetrie spaziali). Le diacronie registrate o registrabili interessano all'analista in quanto, complessivamente considerate, contribuiscono alla costruzione di un discorso sincronico, che è l'unica vera e interessante conclusione dell'analisi. Ma per realizzare questo progetto ci vuole tempo: tempo epistemico, oltre a quello cronologico. In questo senso, il principio eziologico di Morgagni ci fa regredire a un tempo epistemico prescientifico, il tempo di Ippocrate e Aristotele.

Faccio notare en passant che i criteri eziologici, stabiliti nel 1843 da John Stuart Mill e attualmente largamente applicati in medicina per stabilire la relazione di causa ed effetto tra agenti morbosi (geni, microorganismi, fattori ambientali) e patologie, fanno esteso ricorso a principi di simmetria della presenza/assenza, come si può facilmente constatare:

I) Criterio della concordanza. Se le circostanze che conducono a un evento hanno in comune “un” fattore, questo può essere la causa ricercata.
II) Criterio della differenza. Se due serie di circostanze differiscono per un solo fattore, e solo quella che lo contiene conduce all'evento, questo può essere causato da quel fattore.
II’) Criterio dei residui. È un adattamento del criterio precedente. Se a, b, c sono conseguenze di A, B, C, e abbiamo stabilito che l'effetto di A è a, quello di B è b, possiamo inferirne che l’effetto di C è c.
III) Criterio delle variazioni concomitanti. Ove le variazioni dell'intensità di un fattore, determinino variazioni parallele dell'effetto, questo può esser causato da quel fattore.

(da Enrico Poli, Metodologia medica. Principi di logica e pratica clinica, Rizzoli, Milano 1965, pp. 120-121. Vedi anche John Stuart Mill, Sistema di Logica raziocinativa e induttiva, libro III, cap. VIII, trad. Giorgio Facchi, Ubaldini, Roma 1968, pp. 382-400).

In altri termini, il positivista Mill piega il criterio scientifico della simmetria alle esigenze della conoscenza prescientifica.

Ho sviluppato il tema della simmetria (sincronia) tra diacronie nella conferenza tenuta all'ETH di Zürich il 18 ottobre 2010, riesaminando in modo fondamentalmente topologico il sofisma dei tre prigionieri, proposto da Lacan nel suo saggio del 1945 sulla certezza anticipata.

Ne do le due versioni italiana e tedesca.

Tra diacronia come tempo per comprendere
e
sincronia come momento di concludere.

ZWISCHEN DIACHRONIE ALS ZEIT ZU VERSTEHEN

UND

SYNCHRONIE ALS MOMENT DES SCHLIESSEN

Ho ripreso l'argomento l'11 dicembre 2010 all'AIPA di Milano in una lezione dal titolo

La pretesa eziologica.

Per completezza segnalo che da noi, in Italia, chi ha tentato il salvataggio scientifico del principio eziologico, limitatamente all'ambito delle scienze umane, operando su di esso un vero e proprio restyling, è stato Carlo Ginzburg in Spie. Radici di un paradigma indiziario (1979, ripubblicato in C. Ginzburg, Miti, emblemi, spie, Einaudi, Torino 1986, pp. 158-209). Giustamente conclude Ginzburg, rimodellato come criterio indiziario, il criterio eziologico più che a fare scienza serve a scrivere romanzi, non solo polizieschi, con un pizzico di paranoia. Ginzburg cita la Recherche, ma non dimentica i grandi romanzi freudiani, a cominciare dagli Studi sull'isteria. Il lavoro di Ginzburg non è da poco. Salva e giustifica Freud. Che è esattamente quel che non interessa a noi, a cui non preme difendere alcuna ortodossia. Non ci interessa salvare Freud davanti al tribunale della ragione, istituendo un contraddittorio tra accusa pubblica e difesa privata, sui cui argomenti pronuncerà la propria sentenza la ragione astratta di Kant. Ci interessa sviluppare quel poco di scientificità congetturale che Freud ha inaugurato inventando l'inconscio. Il resto può perire. Non saremo noi a rammaricarcene.

Una considerazione – spiritosa, anche se non conferma nulla?

Qual è l'hobby segreto più gettonato tra i medici nel tempo libero?

Giocare con i trenini elettrici?

No.

Collezionare francobolli?

Anche.

Scrivere romanzi (impubblicabili)?

Sì!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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